lunedì 16 marzo 2015

Letteratura digestiva

Dall’autobiografia di Romolo Valli traggo uno spunto interessante. Con riguardo a un certo cinema disimpegnato, d’intrattenimento, il grande attore lo stronca con un semplice aggettivo: digestivo. Iunctura sintattica che fa affiorare, per semplice analogia, e non per improbabili acrobatismi mentali, una lontana affermazione polemica per la quale certa storiografia greca, poco aderente alla realtà dalla quale ama astrarsi, e tutta incline al fantastico e al fantasioso, era bollata come una storiografia “di pancia”, vale a dire edonistica.
Sono convinto che quell’aggettivo possa legittimamente essere traslato in campo letterario, e con tonalità tutt’altro che blande e ammorbidenti. Una letteratura digestiva – e tranquillamente si potrebbe aggiungere di consumo – è letteratura superficiale, di scarso o nullo impegno etico – e dico etico nel senso ampio e virtuoso della promozione a bellezza. Parola questa strombazzata, dall’universo mediatico, come capacità di elargire vita, respiro, conforto. E così dovrebbe essere, ma così non è appunto perché s’intruppa con quella genia di parole modaiole lasciate al guasto e al degrado come sulla sabbia gusci secchi di chiocciole e molluschi –. Essa è approntata appunto per una digestione facile e rapida. Non rompe, e neanche scuote, incancrenite abitudini, non getta sassi nello stagno; tira e fa tirare a campare, giocondamente e senza pensieri, in beotica beatitudine. Per questo è quanto mai necessaria una parola nuova, fresca, viva, che sappia urtare, offendere il così detto senso comune. Una parola inquieta che renda coscienti che non si vive di solo pane: che l’uomo ha esigenze, bisogni che vanno ben al di là di quelli primordiali e primissimi (e, comunque, preliminarmente da soddisfare). Aver sempre presente, mai scordare il solenne monito dantesco del «fatti non foste a viver come bruti», strappandosi a quella sonnolenza che avvilisce e sconforta.

Domenico Franciò

Nessun commento:

Posta un commento