domenica 28 febbraio 2016

Umberto Eco e il suo trionfo della morte

[fotografia tratta da http://xl.repubblica.it/]
La morte di Umberto Eco (οἶκος, casa, economia etc.) mi ha non poco rattristato. Uno degli intellettuali più famosi a livello internazionale, e dei più fecondi (e facondi). È stato per i nostri sciagurati tempi quello che Benedetto Croce fu per i suoi, un ago della bilancia culturale, un costante e imprescindibile punto di riferimento. Io l’ho conosciuto culturalmente nello scorcio degli anni ’70 quando insegnavo al liceo La Farina: testi come “Opera aperta” o il più recente “Lector in fabula” non potevano sfuggire alla mia prensile e mai appagata curiositas culturale. È stato un inventor, un euretḗs di generi letterari, nel senso che li ha rinnovati dall’interno. Ha sondato da scienziato tutti i campi del sapere e dell’attualità. Un testo come “Fenomenologia di Mike Bongiorno” scopriva il punto di appeal del celebre presentatore italo-americano, lo scopriva proprio in quella mediĕtas, in quel barcamenarsi tra gli estremi, in quella aurea mediocritas che il buon Orazio vivamente raccomandava.
“Opera aperta” insegnava agli intellettuali italiani, soprattutto a quelli che operavano nella scuola come docenti che un’opera è appunto sempre aperta: aperta al momento storico che costantemente si rinnova e non trova mai abbentu. L’opera si arricchisce dei contributi esegetici e interpretativi che diventano così parte integrante di essa. Per il seguito non si potrà non tenerne conto.
Quanto al romanzo ambientato nei meandri della cultura e del tempo medievali, “Il nome della rosa” divenne il prototipo di una narrativa tra noire e gialla situata in un preciso arco spazio-temporale. È inutile ricordare come anche quest’opera di Eco centrasse pienamente l’obiettivo e suscitasse una validità di consenso e di eco (se mi si passi il calembour) di carattere mondiale.
È facile prevedere che dopo la grancassa dei mass media (radio, giornali, televisione e quant’altro) fra una settimana l’immagine di Eco sarà come stinta, sbiadita, scolorita. È destino dei grandi, ma aggiungerei di ogni destino umano, che raggiunto l’apice della montagna incantata si cominci a scendere nella valle sottostante, dove scorre il Lete, il fiume della dimenticanza e, peggio, della trascuranza.
Ma è anche peculiare dei grandi che il loro nome riluca, sfavilli e viva di gloria eterna, imperitura ogni qualvolta qualcuno prende in mano i loro libri per amorevolmente studiarli, e procedere sicuro lungo la direzione da essi additata.
Domenico Franciò

3 commenti:

  1. Professore, Lei è grande. Grazie per averci insegnato a non prenderci mai troppo sul serio.
    L'abbraccio forte, la ricordo sempre, quando, forte e tenero, entrò in classe gridando: - Hanno rapito Aldo Moro!
    Gilda Saija

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  2. Professore, Lei è grande. Grazie per averci insegnato a non prenderci mai troppo sul serio.
    L'abbraccio forte, la ricordo sempre, quando, forte e tenero, entrò in classe gridando: - Hanno rapito Aldo Moro!
    Gilda Saija

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    Risposte
    1. Cara Gilda,
      ti ringrazio sia per l'attenzione sia per il ricordo.
      Un abbraccio affettuoso.
      Domenico Franciò

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