martedì 28 marzo 2017

Un grande studioso alle prese col massimo studioso della storia umana

Socrate
Il modo con cui Nicola Abbagnano tratta la figura di Socrate non è asettico, oggettivo, una maniera per distanziare se stessi e l’oggetto della trattazione. Oserei dire che lo storico dà tutto se stesso a delineare il giusto profilo dell’ateniese, quasi per timore che interpretazioni inintelligenti, fasulle, false e svianti rimpiccioliscano l’importanza dell’influsso che il filosofo ha avuto, lungo i secoli, nella storia occidentale. Quello che siamo e quel che vogliamo essere parte da lì. Là è la scaturigine della nostra Kultur, di quel che abbiamo voluto essere e diventare. Nulla dell’aridità intellettuale che gli è stata imputata da un Nietzsche. Per lo studioso pugliese Socrate è, sic et simpliciter, la filosofia, nella sua ragione d’essere e motivazione essenziale: amore per il sapere, come denuncia chiaramente l’etimo (φιλοσοφία è un amare la σοφία, la sapienza, è una tensione non esaurita né esauribile verso di essa, che dura quanto dura la vita umana). Socrate era uomo di forti passioni, di grande coraggio intellettuale e morale. Non guardava al cielo, i fenomeni naturali che altri attiravano, lo lasciavano del tutto ἀδιάφορος, indifferente. Egli è l’inventore del dialogo, e della dialogicità, come l’attività insostituibile su cui si fonda una civile convivenza. Socrate ha insegnato, senza parere e senza impancarsi a dotto e sapiente come facevano i Sofisti, a non smettere mai la ricerca del sapere, che è tutt’uno con la virtù. Più sai, più conosci, più t’accorgi di non conoscere, più tocchi con mano la tua ignoranza. Questa consapevolezza induce un habitus di umiltà, ti costringe a non sopravvalutarti, e a riconoscere, in particolare, i tuoi limiti. Il celeberrimo monito delfico (γνῶθι σαυτόν, gnosce te ipsum) è un invito a scansare la boria, a non riempirsi d’arie. Questa è sempre mala consigliera e, nella storia dell’uomo, è stata sempre apportatrice di sventure. I presuntuosi, quelli che presumono di sapere senza sapere, sono la peggiore genia dell’umanità, un cancro inestirpato e, forse, inestirpabile, e incurabile, nel quale, una volta incappati, non si vede come se ne possa uscire. Possono essere assomigliabili alla rana di fedriana memoria che, presa d’invidia per la magnificenza del bue, si dà dissennatamente a gozzovigliare aria fino al botto finale rimanendo stinnicchiata a pancia squarciata.
Ecco come uno studioso, quando ha fegato, cuore e mente, tratta il suo argomento. Se ne innamora e te ne innamora. Facessero propria gli insegnanti d’oggi questa lezione. Non ne trarrebbe profitto la scuola e, tramite essa, l’intera società?
Domenico Franciò